martedì 7 aprile 2009

Quale Made in Italy?









Il Made in Italy versa da tempo in una situazione di progressivo calo di competitività nei confronti di prodotti che vengono percepiti come "simili" o comunque in qualche modo paragonabili quantomeno riguardo a quelle che potremmo definire condizioni di utilizzo. A questa categoria di prodotti appartengono ovviamente i "falsi" e, cosa ancora più grave, tutti quei prodotti che esprimono un rapporto qualità/prezzo giudicato migliore dai mercati internazionali in quanto basato su caratteristiche che non vengono più percepite come realmente uniche e identificative del prodotto italiano.

In questa situazione non è certo di grande aiuto il fatto che grandi brands del Made in Italy delocalizzino le loro produzioni pur mantenendo, in virtù del fatto che non esiste una reale tutela normativa delle produzioni autenticamente realizzate in Italia, l'indicazione d'origine in etichetta producendo in questo modo un doppio effetto:da un lato un progressivo svuotamento del valore del "marchio" Made in Italy e dall'altro l'immissione nel mercato di una enorme quantità di prodotti realizzati in molti casi dagli stessi fornitori dei brands italiani che finiscono "fuori fornitura" nel mercato illegale del falso, anche perchè in realtà non è possibile definirli come tecnicamente falsi.

Se in questo scenario il cosiddetto alto di gamma e con esso i brands rivolti al mercato dei beni di lusso riescono bene o male (in molti casi piuttosto male) a tenere botta, lo stesso non può dirsi per il mondo delle piccole imprese artigiane e delle PMI in generale, infatti per tutto questo mondo che rappresenta il grosso del tessuto produttivo italiano e che soffre da sempre di un elevatissimo livello di polverizzazione sul territorio e di estrema specializzazione produttiva restare sul mercato con prodotti competitivi è sempre più difficile. Per la singola piccola impresa infatti non è nemmeno pensabile, almeno nella maggior parte dei casi, decidere di affrontare i costi di una adeguata attività di ricerca e sviluppo e che invece rappresenta forse l'unica chance di sopravvivenza in quanto in grado di spostare il livello della competizione dal terreno dei costi a quello delle "idee" e di restituire al prodotto italiano quelle caratteristiche di unicità che in passato lo distinguevano inconfondibilmente.

E' fin troppo evidente come il Design possa rappresentare la migliore arma a disposizione delle aziende per affrontare la sfida con successo, a patto di riuscire ad inquadrare l'attività di progettazione in un nuovo contesto ideativo ed organizzativo, ispirato ed informato dai principi del "paradigma" 2.0. Si potrà approdare così ad una nuova generazione di prodotti in cui il know how della piccola e media impresa italiana possa essere messo a sistema nell'ambito di un diverso e nuovo rapporto con l'idea stessa di prodotto, in grado di valorizzare il patrimonio di conoscenze fino ad oggi accumulato e non più adeguatamente apprezzato e riconosciuto all'interno di prodotti concepiti ancora in maniera strutturalmente e forse ormai anacronisticamente "tradizionale".

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